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L'importanza di essere Pasolini

Il 2 novembre del 1975, Pasolini veniva ucciso selvaggiamente nelle spiagge di Ostia, interrompendo una carriera come poche, fatta di grande eclettismo e dedizione. È stato forse una delle poche personalità che più si può definire veramente “artista”, ovvero colui che veicola determinati messaggi con qualunque mezzo egli abbia a disposizione. Non importa il media, quando il contenuto che vi è in esso. E questo lo abbiamo visto molto bene nel suo modo di utilizzare il cinema.


Pier Paolo Pasolini alla Torre di Chia, Viterbo 1974 foto di Gideon Bachmann © Archivio Cinemazero Images, Pordenone

In questo ambito, Pasolini viene considerato uno dei registi più importanti. A volte, specialmente all’inizio, si può rimanere spiazzati di fronte ai suoi film, spesso lunghi, prolissi, forse non con quella qualità estetica che uno spettatore moderno si aspetterebbe. Eppure, le ragioni dietro questa “consacrazione” vanno ricercate proprio lì.

Facciamo un passo indietro. Accattone è un film sporco, goffo, terribile se si compara a tanti altri della sua generazione, e non c’è niente di male in questo: Pasolini veniva da un altro mondo, fatto di parole, non di immagini prive di alcuna descrizione, e con questo film d’esordio vediamo che non cerca di nasconderlo affatto. Al tempo stesso, trasforma questa assenza di filtro in una caratteristica portante nella rappresentazione delle periferie romane.

Questo suo utilizzo di un cinema il più “naturale” possibile si evolve con il tempo: “Mamma Roma” ancora rimane ancorato alla visione “cruda” del cinema, priva di abbellimenti che non siano essenziali, ma già da Il “Vangelo Secondo Matteo” e “Uccellacci e Uccellini” sentiamo che qualcosa sta per cambiare: Pasolini vira verso un’anima più sperimentale, conscio delle potenzialità dello strumento cinematografico. E questo è solo l’inizio.


Totò e Ninetto Davoli sul set di Uccellacci e Uccellini 1966


Con i suoi grandi, immensi film “storici”, se così possiamo definirli, questa maturazione giunge a compimento: lo scrittore bolognese usa l’immagine come una tela, e dalla granulosità di Mamma Roma passiamo ai grandi e raffinati paesaggi greci e africani, con storie mitologiche che ben si differenziano dalla realtà rappresentata nei primi film, senza per questo esserne meno rappresentativi.

Guardando il suo percorso, ciò che rende Pasolini un “gigante” è il fatto di aver utilizzato il mezzo del cinema da outsider: ecco che con Accattone riprende il neorealismo ormai decaduto; ecco che con Il Vangelo Secondo Matteo vira verso il film “storico”; ecco che, ancora, con Edipo Re guarda verso un mondo più fantastico, forse anche nostalgico. Non importano le tendenze contemporanee del media che utilizza. Pasolini fa di testa sua, e il risultato è spiazzante in tutti i sensi.

Pasolini è proprio questo: un artista che spiazza, con i suoi messaggi che hanno diviso critiche, attivato censure e impressionato un pubblico abituato a ben altro. Eppure, ci ha anche insegnato che la semplicità rende le cose più complesse, e che il cinema è di tutti. Persino dei più dimenticati.




@riproduzioneriservata di Andrea Leandri

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